15 Jan
15Jan

Il caso. 

Il Tribunale di primo grado dichiarava la separazione personale dei coniugi addebitandola al marito, assegnava la casa coniugale alla moglie, quale genitore convivente con il figlio maggiorenne non autosufficiente economicamente, ponendo a carico del marito l'obbligo di contribuire al mantenimento del figlio mediante il versamento di una somma mensile da rivalutarsi annualmente, oltre al pagamento del 100% spese straordinarie, stabiliva in favore della moglie un assegno di mantenimento mensile.

Avverso tale sentenza la ricorrente proponeva appello innanzi alla Corte competente territorialmente, lamentando l'insufficienza della quantificazione degli assegni censurando la statuizione nella parte in cui, ai fini della determinazione del tenore di vita familiare e delle effettive condizioni economiche del marito, aveva escluso qualsivoglia rilevanza ai redditi percepiti dal marito asseritamente non dichiarati al fisco. Insisteva sia per l'accoglimento dell'ordine di esibizione già formulato in primo grado, sia sul compimento di accertamenti di polizia tributaria. Si costituiva l'appellato chiedendo il rigetto dell'impugnazione. La Corte d'Appello rigettava l'impugnazione confermando la decisione del Tribunale.

Avverso tale pronuncia veniva proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi. Il resistente si difendeva con controricorso e il Pubblico Ministero depositata le proprie conclusioni scritte chiedendo l'accoglimento del ricorso.

Con il primo motivo di impugnazione è dedotta la violazione o falsa applicazione di legge per avere la Corte di appello ritenuto che l'eventuale disponibilità di entrate sottratte all'imposizione fiscale, di cui tutto il nucleo familiare aveva in passato beneficiato, non potesse essere presa  a parametro di riferimento per determinare l'assegno spettante al coniuge separato e al figlio, mentre avrebbe dovuto considerare che ciò che rilevava era il tenore di vita matrimoniale, a prescindere dal fatto che le disponibilità di cui godeva la famiglia fossero o meno sottratte all'imposizione fiscale. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione o falsa applicazione di legge per avere la Corte di Appello negato indagini di polizia tributaria ed ulteriori approfondimenti istruttori mediante ordini di esibizione ex art. 210 c.p.c., sull'erroneo presupposto che le eventuali entrate sottratte all'imposizione fiscale non potessero costituire parametro di riferimento del tenone di vita familiare. Il controricorrente eccepiva l'inammissibilità dell'avverso ricorso. 

Disamina dei motivi di censura. 

La Suprema Corte riteneva di esaminare congiuntamente il primo e secondo motivo essendo tra loro strettamente connessi e riteneva entrambi fondati sia pure nei limiti di seguito esposti. La giurisprudenza di legittimità è consolidata nel ritenere che il giudice di merito per quantificare l'assegno di mantenimento spettante al coniuge al quale sia addebitabile la separazione deve accertare, quale indispensabile elemento di riferimento, il tenore di vita di cui la coppia abbia goduto durante la convivenza, quale situazione condizionante la qualità e la quantità delle esigenze del richiedente, accertando le disponibilità patrimoniali dell'onerato. 

A tal fine, non può limitarsi a considerare soltanto il reddito emergente dalla documentazione fiscale prodotta, ma, deve tenere conto anche degli altri elementi di ordine economico suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti quali la disponibilità di un consistente patrimonio, anche mobiliare, e la conduzione di uno stile di vita particolarmente agiato e lussuoso. Anche l'assegno di mantenimento in favore dei figli minori e maggiori di età, ma non autosufficienti economicamente, deve essere determinato considerando le esigenze del beneficiario in rapporto al tenore di vita goduto durante la convivenza dei genitori, tenendo conto di tutte le risorse a disposizione della famiglia, non potendo i figli di genitori separati essere discriminati rispetto a quelli i cui genitori continuano a vivere insieme. 

L'art. 5, comma 9, l. 898/1970, stabilisce, peraltro, che in caso di contestazioni il Tribunale dispone indagini sui redditi e patrimoni dei coniugi e sul loro effettivo tenore di vita, avvalendosi, se del caso, della polizia tributaria. Questa previsione applicabile per il giudizio di divorzio, in via analogica, va applicata anche ai procedimenti di separazione personale così come prospettato della pronuncia a Sezioni Unite (Cass. civ. S.U. 11 luglio 2018, n. 18297) che ha riconosciuto all'assegno divorzile la funzione perequativo-compensativa accanto a quella assistenziale. Nel caso di specie, il giudice del gravame ha dapprima ribadito che le eventuali disponibilità di denaro derivanti da attività sottratte al fisco di cui la famiglia abbia goduto non possono essere considerate ai fini della ricostruzione del tenore di vita familiare, per poi rilevare che comunque al fine della liquidazione degli assegni, non occorre la precisa quantificazione dei redditi delle parti, potendo il giudice desumere argomenti di prova anche dal comportamento processuale delle parti in relazione all'ordine di esibizione non adempiuti o non completamente adempiuti. 

Sulla base di tali principi riteneva che il giudice di primo grado avesse operato la valutazione di tutti gli elementi di prova acquisiti al processo, ritenuti più che idonei a fondare la statuizione sulla misura dei medesimi assegni. Tuttavia, la Suprema Corte ritiene che tali principi non siano conformi a diritto tenuto conto che anche le entrate sottratte al fisco contribuiscono alla ricostruzione del tenore di vita familiare; tali entrate, ove esistenti, devono essere accertate anche facendo ricorso a presunzioni e argomenti di prova, il giudice quindi non ha adottato l'ordine di esibizione richiesto e non ha potuto valutare il contegno processuale in ordine allo stesso. 

Ne consegue che non risulta conforme a diritto la statuizione di rigetto di richiesta di indagini di polizia tributaria. La Suprema Corte precisa che l'art. 5, comma 9, l. 898/1970, non può essere letto nel senso che il potere del giudice di disporre indagini di polizia tributaria debba essere considerato come un dovere imposto dalla mera contestazione delle parti in ordine alle rispettive condizioni economiche e la relativa istanza e la contestazione dei fatti incidenti sulla posizione reddituale del coniuge devono basarsi su fatti specifici e circostanziati. 

I Giudici di legittimità hanno più volte affermato che il diniego delle indagini non è sindacabile purché sia correlabile, anche per implicito, ad una valutazione di superfluità dell'iniziativa e di sufficienza dei dati istruttoria acquisiti. È tuttavia evidente che tale valutazione deve fondarsi su corretti presupposti giuridici tra cui quelli inerenti alla individuazione degli elementi che rilavano ai fini della decisione. Nel caso di specie, la Suprema Corte ritiene che non possono ritenersi superflue ai fini della ricostruzione del tenore di vita familiare le eventuali entrate occultate al fisco. Il giudice dell'appello non avrebbe dovuto valutare la sufficienza o meno delle prove già acquisite, nella non corretta ottica della irrilevanza di possibili redditi nascosti al fisco, ma verificare se gli elementi addotti dalla ricorrente in ordine all'incompletezza e alla inattendibilità delle risultanze relative alle consistenze economiche del marito, fossero così specifiche e circostanziate da giustificare la ricerca di ulteriori informazioni rispetto a quelle già acquisite, facendo ricorso alla polizia tributaria. Solo una volta acquisite tali informazioni, il medesimo giudice avrebbe, poi, potuto valutare se le medesime fossero in grado di rappresentare un tenore di vita migliore di quello già acquisito al processo e, dunque, di giustificare un aumento degli assegni di mantenimento oppure no.

In conclusione, i motivi di censura sono stati accolti nei termini di cui in motivazione, la sentenza viene cassata con rinvio innanzi alla Corte di Appello competente, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche per le spese del giudizio di legittimità.

(Fonte: dirittoegiustizia.it) 

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