15 Apr
15Apr

Così si è espressa la Terza Sezione della Cassazione Civile, nella sentenza n. 22136/2022, depositata il 13 luglio, confermando il proprio orientamento sul punto.

Il caso. 

La vicenda giunta all'attenzione della Terza Sezione riguarda un caso di responsabilità medica e in particolare una richiesta di risarcimento del danno promossa da una paziente nei confronti del medico che aveva eseguito, e quindi delle strutture in cui aveva effettuato, a distanza di circa tre mesi uno dall'altro due interventi di chirurgia estetica.

La Corte d'Appello aveva confermato la responsabilità del medico e delle strutture in relazione agli interventi di chirurgia estetica eseguiti, per violazione del dovere di informazione del paziente e per i danni causati dall'erronea esecuzione degli interventi, nonché la liquidazione del danno operata dal giudice di prime cure sulla base delle tabelle milanesi e con il riconoscimento di una personalizzazione del danno nella misura del 40%.

In parziale riforma della sentenza di primo grado aveva poi condannato il medico a manlevare e rimborsare alle due strutture il 50% delle somme che i due istituti erano stati condannati a versare a favore della danneggiata dalla sentenza di primo grado e, inoltre, condannato l'assicurazione del medico a tenere lo stesso indenne delle somme che lo stesso dovesse versare alla danneggiata.

La sentenza è stata impugnata sia dalla danneggiata, relativamente alla omessa pronuncia sulle spese di lite dell'appello, che dalle due società, relativamente ai criteri di liquidazione del danno e alla personalizzazione del danno.

Le tabelle milanesi “soccombono” alle norme di legge. Dopo aver accolto i motivi di ricorso della danneggiata relativi all'omessa pronuncia sulle spese di lite in favore della stessa e a carico delle due società che erano risultate soccombenti anche nel giudizio di appello, la sentenza in commento accoglie i due motivi proposti dalle società relativamente alla liquidazione del danno non patrimoniale e alla parente motivazione della sentenza impugnata in ordine alla personalizzazione del danno.

Quanto ai criteri di liquidazione del danno biologico, i giudici di secondo grado avevano (erroneamente) applicato le Tabelle di Milano, escludendo invece l'applicabilità della norma di cui all'art. 7, comma 4, l. n. 24/2017 e dell'art. 3, comma 3, d.l. n. 158/2012, convertito con modificazioni dalla l. n. 189/2012, che hanno rinviato agli artt. 138 e 139 d.lgs. n. 209/2005 per la liquidazione del danno non patrimoniale biologico.

Così facendo, la Corte di merito ha però disatteso i principi già indicati dalla Suprema Corte in alcuni precedenti (cfr. Cass. civ., n. 28990/2019, n. 25274/2020).  La Terza sezione ha quindi ricordato come la norma che prevede il criterio equitativo di liquidazione del danno non patrimoniale fondato sulle tabelle elaborate in base agli artt. 138 e 139 del codice delle assicurazioni private debba trovare applicazione anche nelle controversie (come nel caso di specie)relative ad illeciti commessi e a danni prodotti anteriormente alla sua entrata in vigore, nonché ai giudizi pendenti a tale data (con il solo limite del giudicato interno sul quantum),«in quanto non incidendo retroattivamente sugli elementi costitutivi della fattispecie legale della responsabilità civile la disposizione non intacca situazioni giuridiche precostituite ed acquisita al patrimonio del soggetto leso ma si rivolge direttamente al giudice, delimitandone l'ambito di discrezionalità e indicando i criterio tabellare quale parametro equitativo nella liquidazione del danno».

Ancora una volta la Cassazione “bacchetta” le motivazioni meramente apparenti. La Terza Sezione, come anticipato sopra, ha accolto anche il motivo relativo alla personalizzazione del danno nella misura del 40% con motivazione in realtà inesistente.

La Corte d'Appello aveva infatti (non) motivato tale personalizzazione ritenendo «del tutto condivisibile l'operato del giudice di prime cure, avendo costui valutato il danno facendo giusto riferimento alla CTU e per avere il giudice […] esattamente indicato le somme dovute in ragione della corretta applicazione delle citate tabelle milanesi».

Tale motivazione è stata ritenuta dalla Suprema Corte come solo «graficamente esistente, formulata in termini invero del tutto apodittici e stereotipati che non consentono di cogliere l'iter logico-giuridico seguito per pervenire alla criticata soluzione».

Dunque, è stato ritenuto che non avendo raggiunto sul punto il necessario minimo costituzionale la motivazione debba essere definita come «meramente apparente e pertanto inesistente» (sul punto, si vedano, tra le altre, Cass. civ., sez. unite, n. 8053/2014, Cass. civ., n. 10813/2019, n. 17426/2022).Spetterà ora alla Corte d'Appello in sede di rinvio fare corretta applicazione dei principi anzidetti.

(Fonte: dirittoegiustizia.it)

Commenti
* L'indirizzo e-mail non verrà pubblicato sul sito Web.